“La gioia di vivere – mi hanno insegnato i miei genitori e maestri – non dipende dal successo, ma dal fatto di occupare il proprio posto nel mondo, nella fedeltà a quello che siamo chiamati a essere e fare, sulla base dei nostri talenti e dei nostri limiti […]. Ciascuno di noi è la propria vocazione, la propria chiamata, il proprio compito. […] Tutti sappiamo che qualcosa ci chiama a percorrere un certo cammino. Magari non si tratta di un annuncio eclatante, ma di piccole spinte (un libro, un film, un incontro, un fatto…) verso una strada, mentre eravamo persi in una selva di vie possibili. Ognuno di noi è irripetibile e la libertà, diceva Hannah Arendt, è «esserci per un nuovo inizio»: a ciascuno di noi è affidato il proprio sé come inizio, compito e compimento. Solo questo genera gioia di vivere: armatura forte di fronte ai fallimenti, spada che consente di non rifugiarsi, impauriti dalla vita, in autismi virtuali ed emotivi (dipendenze di ogni tipo).”
Alessandro D’Avenia
tratto da: Capirsi con il cuore in “La Stampa” del 4/12/2011