di Nadia Luppi
Ogni trasloco è una storia a sé, perché uniche e irripetibili sono le vite che si snodano attorno ad una casa che si lascia e ad una che si fa propria. E che sia più o meno complicato, più o meno sofferto, più o meno impattante, si tratta pur sempre di un cambiamento, e a ben guardare il viaggio, non lo compiono solo i mobili e i vestiti, ma riguarda anche noi che traslochiamo.
Ho ripensato tanto alle settimane del mio ultimo trasloco ieri, durante il Seminario “Lasciare andare: accettare le perdite, coltivare l’essenziale” con Andrea Bonacchi e Erika Agresti.
Ricordo bene che in quella mattina di luglio guardavo smarrita l’armadio aperto, traboccante di vestiti e accessori, alcuni appesi, altri accatastati… E oltre a quel che vedevo, chissà cos’altro avrei trovato là dentro… Forse qualcosa che in quella confusione non consideravo più da un po’… Forse quella sciarpa che per un intero inverno era rimasta sepolta in fondo alla busta nell’ultimo ripiano… Perché a volte, per poco tempo, poca attenzione, o per abitudine, nemmeno ci ricordiamo quante cose possa contenere un armadio e quante ne possa nascondere un cassetto…
E così arriva il momento di fare i bagagli. Ridurre una casa ad una serie di scatoloni impilabili e trasportabili è molto più che un lavoro manuale. Gli oggetti andrebbero divisi in base al loro uso ma anche alla loro importanza e alla frequenza d’utilizzo, che spesso non coincide con l’urgenza… Insomma occorre attivare tutti i talenti e le intelligenze logiche e strategiche per portare a termine la missione. Ma prima di questo, c’è un altro passaggio, molto più delicato.
Selezionare. Eliminare. Conservare l’essenziale, tutt’al più il necessario.
E tenere ben presente che abbiamo un’occasione da cogliere al volo: riconnetterci col nostro presente per domandarci da cosa possiamo separarci e cosa invece vogliamo portare con noi nel nuovo viaggio. Ciò che è superfluo, obsoleto, guasto, logoro, ciò che non aggiunge alcunché al nostro vivere, è inutile trasportarlo.
Mentre passavo in rassegna jeans e maglie, gonne e T-shirt mi chiedevo se ancora erano adatti a me, o meglio, se io – in quel momento – li avrei indossati. Se Nadia aveva ancora qualcosa a che fare con quel capo o l’altro. Siamo esseri in continuo mutamento, a volte – più o meno consapevolmente – portiamo con noi anche quel che non ci serve più, tendiamo ad accumulare in preda alla sensazione di non avere abbastanza. E finiamo per perderci di vista tra ciò che non ci serve.
Non è mai stato facile per me separarmi dalle persone, e neanche dagli oggetti che mi hanno accompagnato per un pezzo della mia vita. In quei giorni però, più mi guardavo dentro e ripercorrevo i miei cambiamenti, più sentivo crescere il bisogno di alleggerirmi, mescolato alla malinconia di dovermi separare da quelli che erano stati quasi degli amuleti per me. Una collana che avevo stretto nel pugno quella sera a cena, la maglietta che era con me al concerto di Bruce Springsteen e quei jeans che avevo comprato prima del viaggio a Lipsia… Ho dovuto respirare molto a fondo per riempire i borsoni di cose che ormai non aveva più senso tenere con me. Confesso che c’è stato un pensiero che mi ha aiutato a separarmi da questo o quel vestito: mi ripetevo che non stavo cancellando l’esistenza di qualcosa, ma che piuttosto gliene stavo regalando una nuova. Qualche maglioncino avrebbe fatto rotta verso una donna che non poteva permettersi di comprarlo. E invece se fosse rimasto con me, avrebbe finito per restare chiuso in un armadio, al buio e senza profumo. Qualche maglia ormai giunta a fine corsa, poteva diventare uno straccio per pulire casa nuova, mentre lasciarlo nella scatola significava solo ridurlo a un impiccio inutile. Immaginando quale nuova esistenza avrebbero avuto quei vestiti che avevano fatto sentire bene me, mi riusciva più facile separarmene.
E quando mi saliva un po’ in gola il timore di rimpiangere qualcosa, allora inspiravo ed espiravo e mi guardavo indietro. Alla vigilia di qualunque viaggio, compresa una serata fuori porta, mi assale lo scrupolo di controllare se ho dimenticato qualcosa. Bene, la realtà dei fatti dimostra che in qualunque situazione, qualunque cosa ti manchi, c’è una strategia, una mossa inaspettata, un oggetto ancora sconosciuto che fa al caso nostro e rende tutto comunque possibile.
E dopo la fase della selezione, quella della sistemazione più o meno razionale a seconda delle inclinazioni personali, e quella del trasporto arriva l’ultimo passaggio. Prendere confidenza coi nuovi spazi. Continuavo a disporre i vari capi e oggetti nell’armadio e nei mobili nuovi ma restavano spazi vuoti che mi inquietavano. “Cosa ho dimenticato? Cosa mi manca?”
Il vuoto ci spaventa. Ci riporta a ciò che non abbiamo, a ciò che non conosciamo, a ciò che abbiamo lasciato indietro e a ciò di cui potremmo sentire la mancanza.
Poi ho inspirato ed espirato forte e mi è venuta alla mente la mia vecchia stanza, nella mia vecchia casa, quando ci entrai ormai quattro anni fa. Senza quella stanza vuota non avreimai visto rinascere me e prendere forma quel mio pezzo di vita.
E’ nel vuoto che possiamo creare. E’ dal vuoto che si crea la possibilità di rinnovarsi. E’ in un cuore leggero che nasce l’amore. E chissà come si riempirà quel cassetto rimasto vuoto… Chissà cosa prenderà casa nel mobile della sala ancora sgombro. Guardo quel vuoto. Così com’è ora. Ora. E sorrido.
Nadia Luppi
Counselor Dinamico-Relazionale, Modena,
e-mail: nadia.luppi@gmail.com cell. 340 4933914