Verso un assetto di pace
di Erika Agresti
“Se ad ogni bambino di 8 anni venisse insegnata la meditazione, riusciremmo ad eliminare la violenza nel mondo entro una generazione”
Dalai Lama
Usualmente utilizziamo la dicitura “assetto di guerra” per descrivere” reparti armati dotati di tutto il necessario per il combattimento” (vocabolario Treccani on line). Questo suggerisce che alla guerra ci si prepara, ci si dota di ciò che serve per combattere. Immaginiamo ci siano delle armi. Pensiamo a soldati pronti a partire, a combattere; si intuisce una tensione, una allerta.
Lo stesso modo di dire è utilizzato anche in senso figurativo: quando vediamo qualcuno che è particolarmente suscettibile e pronto a rispondere in termini difensivi quando non ne vediamo davvero il motivo, possiamo affermare che una persona è in “assetto di guerra”. E’ pronto a reagire, a rispondere. Possiamo immaginare che si sia preparato, anche lui, in qualche modo, ed infatti era all’erta, lì, sul fronte, pronto a rispondere. Oppure è in assetto di guerra qualcuno che desidera ottenere qualcosa da una situazione, in un incontro di lavoro. E’ assertivo e determinato, pronto a cogliere ciò che viene propizio, orientato a ottenere ciò che vuole.
E’ indubbio che di fronte a qualcuno che si pone in questo modo, l’interlocutore alza le difese. Di fronte a chi è pronto per la guerra occorre proteggersi, reagire, combattere, difendersi o ritirarsi, allontanarsi e mettersi al sicuro.
Ci siamo chiesti, ma se ci si prepara alla guerra, è possibile prepararsi alla pace? Esiste la possibilità di stare in un assetto di pace? Chissà perchè non troviamo questo modo di dire nel nostro linguaggio.
Alcuni studi in psicologia hanno rilevato come la mente possa funzionare in modi differenti: le modalità che utilizza sono in relazione a come l’individuo vede il mondo e come vede se stesso. Sono i nostri immaginari interni a determinare che tipo di attitudine avremo. Se viviamo il mondo come un posto pericoloso e noi come persone vulnerabili, allora sarà necessario capire velocemente cosa è bene e cosa è male, trovare degli alleati per fronteggiare dei nemici. Sarà fondamentale avere chiaro chi è dalla nostra parte incondizionatamente; tutti gli altri saranno nostri antagonisti. Dei nemici non ci si può fidare, e da loro ci si deve difendere. In genere funzioniamo così quando siamo particolarmente stanchi e stressati e ci sembra che il mondo ce l’abbia con noi. In questo caso non riusciamo davvero a vedere le altre persone, tendiamo a sentirle come minacce a priori. Può succedere a tutti perchè è una delle modalità con le quali funzioniamo, per comodità la chiamiamo “modalità scissa“, dal tipo di meccanismo di separazione netta tra bene e male, giusto e sbagliato, amico e nemico…. Esistono gruppi che basano il loro operato su questo assunto. Le persone che ne fanno parte devono essere assolutamente fedeli ad un modello, pena l’esclusione. La diversità non è tollerata, anzi, è vissuta come una minaccia e si chiede ai partecipanti la rottura dei rapporti con tutte le persone che non sono parte del gruppo, si chiede inoltre di considerare la missione condivisa come la più importante in assoluto, per la quale ogni prezzo può essere pagato. Carole Beebe Tarantelli, una psicoanalista, ha riflettuto sulla strutturazione dei gruppi terroristici in italia negli anni Settanta ed Ottanta: descrive un tipo di relazione simile a quello raccontato più sopra.
Un’altra modalità di pensiero invece rimanda ad un assetto più integrato, nel quale l’immaginario è quello di un mondo sufficientemente sicuro, e di un senso di adeguatezza personale che ci fa sentire pronti ad affrontare ciò che capita, capaci di uscine bene. In questo scenario possiamo permetterci di entrare in relazione con gli altri senza la paura di venire feriti. Se poi succede, se poi in qualche momento una persona di cui ci fidiamo si comporta in modo inaspettato possiamo considerare che è normale, che può accadere, che tutti al nostro interno viviamo aspetti contradditori. Noi e gli altri siamo “bene” e “male” insieme, poi il bene e il male possono essere relativi, la realtà non ha confini così netti e lo scambio con altre persone può essere vantaggioso e vale la pena provarci (“modalità integrata”).
Queste due possibilità sono presenti nella vita di ciascuno, seppure forse in misura diversa; tutti abbiamo la possibilità di passare da una modalità della mente all’altra.
Nelle situazioni di pericolo reale o immaginato, quando proviamo paura, istintivamente il nostro organismo reagisce con le modalità di attacco (aggrediamo chi o ciò che ci minaccia o aggredisce), fuga (ci allontaniamo dalla minaccia mettendoci ad una distanza di sicurezza) o congelamento (ci blocchiamo così che chi ci aggredisce non ci noti o non ci percepisca come una minaccia, un ostacolo, o una preda). Sono reazioni immadiate, non filtrate dal pensiero. Siamo biologicamente programmati per reagire così, come del resto sono programmati molti altri animali. Attacco/fuga/congelamento. Quando la situazione è significativa e la reazione è chiaramente espressa, allora risulta essere molto evidente. Tuttavia possiamo immaginare che questo tipo di reazioni avvengano anche ad un livello più sottile, invisibile: con un allarme neurobiologico, con la tensione muscolare, con un senso di allerta e di pericolo; possiamo non esserne consapevoli. Se reagiamo in questo modo, seguendo pattern biologici inconsapevoli, non siamo liberi.
In questo periodo storico il tipo di messaggi che ci giungono in merito ad invasioni, a minacce di guerra, a possibilità di attentati, ci spingono verso una modalità di pensiero più difensiva (“modalità scissa”). Siamo così più manipolabili, più disponibili a rinunciare a spazi di libertà per una maggiore sicurezza.
Riprendiamo ora la domanda iniziale: è possibile prepararsi alla pace? È possibile rendersi conto che si sta crescendo in noi un atteggiamento difensivo, è possibile valutare se davvero è necessario ed eventualmente modificare il nostro stato di allerta? Una counselor di origine israeliana Uta Gabbay, riflettendo sulle dinamiche della sua terra, ricorda: “quando gli esseri umani sono soggetti ad un trauma, contattano una modalità di sopravvivenza, indipendentemente dalla loro religione, razza o background e quella che all’inizio è una reazione sana se è prolungata diventa una trappola. La psiche ed il corpo umano si contraggono istintivamente, ma la decontrazione non è istintuale e per essere raggiunta richiede consapevolezza e sforzo“.
Se riusciamo a creare uno spazio di consapevolezza rispetto alle nostre reazioni, se creiamo un tempo di sospensione tra lo stimolo che percepiamo e la nostra risposta, possiamo sperimentare la nostra possibilità di “tenere” l’ansia e la rabbia dentro di noi, di prendercene cura, e di leggere in modo più obiettivo la realtà che ci circonda. Possiamo comprendere se quello che noi sentiamo è davvero la reazione ad un pericolo reale e se la nostra risposta è libera o espressione di un condizionamento. Se riusciamo a coltivare questo spazio ci diamo il permesso di incontrare le parti di noi che esprimono rabbia, paura o ansia, possiamo conoscerci meglio ed accoglierci.
E’ importante per noi nutrire uno spazio interno, una dimensione di contatto con noi stessi che ci ripari da una risposta automatica e di difesa. In questo spazio di ascolto e comprensione, curiosita’ e conoscenza, agiamo la nostra possibilità di favorire processi di pace, di superare una dimensione di difesa e aprirci ad una visione amorevole. Possiamo allora sentirci “capaci”, possiamo riconoscere l’altro.
Erika Agresti, psicologa, psicoterapeuta, insegnante, Imola
Bibliografia
- Ainsworth Mary, “Modelli di attaccamento e sviluppo della personalità” Raffaello Cortina Editore, Milano, 2006
- Dalai Lama, Daniel Goleman, “Emozioni distruttive” Oscar Mondadori, Cles (TN), 2014
- Krishnananda, “Uscire dalla paura”, Urra, Milano, 2006.
- Segal Hanna, “Introduzione all’opera di Melanie Klein” G. Martinelli Editore, Firenze, 1987
- Thich Nhat Hanh “La pace è ogni passo” Ubaldini ed.
- Uta Gabbay in “The Gift of a Universal Jerusalem” , Journal of Esoteric Psychology, Volume 4, Number 3, Summer 2008
- Nella testa dei terroristi. Una psiche votata alla distruzione. http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2009/02/27/nella-testa-dei-terroristi-una-psiche-votata.html
- Treccani, vocabolario on line, voce “assetto”