Molte persone si avvicinano alla meditazione perché spinte da un urgente bisogno di migliorare la propria salute (sia fisica sia mentale), spesso con un preciso obbiettivo da raggiungere: abbassare lo stress, curare l’ipertensione, gestire l’ansia, alleviare un dolore fisico, eliminare gli attacchi di panico o un sintomo di qualsiasi tipo. La ricerca scientifica si sta interessando moltissimo all’effetto della meditazione sulla nostra salute e ci sono moltissimi studi che dimostrano i suoi benefici sia sul piano fisico sia su quello psicologico.
Tuttavia approcciarsi alla meditazione con in mente uno specifico risultato che si vuole ottenere può essere di ostacolo e rischia di portarci ad abbandonare la pratica molto velocemente. Jhon Kabat Zin, padre della Minsfullnes, scrive: “la meditazione è non fare, il solo significato della meditazione è permetterci di Essere se stessi”, che significa essere semplicemente consapevoli della propria esperienza in un certo momento senza giudizio. Quando meditiamo diamo spazio a noi stessi e nient’altro. Quindi se siamo agitati, non concentrati, affranti, ricolmi di gioia, annoiati, preoccupati, sereni, appagati, osserviamo semplicemente quello che c’è: se c’è gioia accolgo la gioia, se c’è dolore accolgo il dolore, se c’è tristezza accolgo la tristezza. Quando meditiamo non ci dobbiamo quindi aspettare risultati, ma è importante porsi nei confronti della pratica con la semplice curiosità di vedere dove ci porta e con il desiderio di ricontattare se stessi.
Sembra un paradosso: le ricerche scientifiche ci riportano gli enormi benefici della meditazione, ma non dobbiamo essere attaccati ai risultati. “Però che senso ha?! Se io pratico è perché voglio ottenere questo, questo cambiamento!”. Purtroppo un atteggiamento di questo tipo si rivela essere controproducente e di ostacolo allo sviluppo della consapevolezza. Spesso (da bravi occidentali) ci approcciamo alla meditazione (o a qualsiasi altra pratica) come faremo con un’aspirina o una qualsiasi pillola per il mal di testa: “ok sono agitatissimo, mi si stringe il respiro, sento uno spiacevole senso di schiacciamento al petto, adesso mi metto a meditare per farmelo passare”. Avvicinarsi alla meditazione per mandare via qualcosa è intrinsecamente sbagliato perché cozza con l’essenza stessa della meditazione che è semplicemente permetterci di Essere nel momento presente.
Se ci approcciamo alla pratica con l’idea di eliminare, rifiutare, allontanare, rinnegare qualcosa che fa parte di noi in un dato momento della nostra vita non facciamo altro che fomentare una lotta che ci si ritorce contro e che crea altro stress e sofferenza. Non possiamo ottenere pace, benessere, armonia attraverso una “lotta” con quello che non ci piace di noi (o con le parti che non ci piacciono di noi). Facciamo un esempio. Se inizio a meditare con l’intenzione di alleviare uno schiacciante senso di ansia, e valuto continuamente le mie sensazioni alla ricerca di un miglioramento ciò che otterrò a lungo termine sarà probabilmente solo altra ansia, tensione e frustrazione. Se la nostra attenzione è rapita soltanto dall’effetto che voglio ottenere e dai sintomi/disagi/sofferenze che voglio eliminare non diamo spazio a “tutto il resto” (cosa c’è oltre al sintomo, oltre al disagio?). Così facendo inoltre alimentiamo il senso che in noi c’è “qualcosa di sbagliato” o “rotto” che va aggiustato.
Per ottenere beneficio dalla meditazione (ma anche da qualsiasi altra pratica) la parola chiave è ACCETTAZIONE: cioè abbandonare la lotta e accettare le cose così come sono in un dato momento. In questo caso “accettazione” non significa assumere un atteggiamento passivo (che dobbiamo farci andare bene tutto) o che non dobbiamo sperare in un cambiamento, ma significa darsi il permesso di essere compassionevoli, pazienti e amorevoli verso se stessi e dire “ok il punto in cui sono è questo, lo accetto, va bene così; adesso da qui, dal punto in cui sono ora, posso TENDERE ad un miglioramento o cambiamento”. Gli effetti positivi di meditare quotidianamente arriveranno sicuramente, ma con i loro tempi, senza forzare la mano e senza imporre traguardi da raggiungere.
Quando ci incamminiamo verso un personale percorso di benessere e crescita dobbiamo sapere che Pazienza, Amorevolezza e Compassione dovranno essere nostre indispensabili compagne di viaggio perché ci aiuteranno a non perdere la fiducia, a sopportare la frustrazione e ad imparare dai nostri errori. L’immagine più adatta è “prendiamoci per mano”. Se siamo intenzionati ad iniziare un percorso di crescita personale dobbiamo prenderci per mano come faremo con un bambino piccolo che sta imparando a camminare. Se siamo genitori sappiamo che nostro figlio imparerà a camminare per tentativi ed errori e le prime volte riuscirà a fare solo pochi passi prima di cadere. Quando questo succede noi cosa facciamo? Lo deridiamo, lo giudichiamo e lo svalutiamo? No, sta imparando, sappiamo che ha bisogno di tempo e del nostro incoraggiamento.
Per sperare in un cambiamento dobbiamo imparare accettare quello che c’è (il punto da cui partiamo) e da lì prenderci per mano e guidarci con pazienza, non giudizio, compassione e amorevolezza.
Eleonora Fazzini